Domenica 15 Marzo 2015 |  Gianluca Ciofi

Giorgia Brenzan e Chiara Marchitelli, icone del ruolo in Italia e tra i maggiori talenti espressi dal nostro calcio, fanno il punto sul calcio femminile e sull’evoluzione dei portieri.

Una numero uno del calcio femminile, è Giorgia Brenzan, di ruolo e di fatto. Per coloro che (pochi) non la conoscono ecco qualche cifra. Circa 800 presenze in serie A, 110 in nazionale, 2 partecipazioni al Mondiale per nazioni, diversi Europei disputati (non li conta neanche lei), 2 scudetti e 3 Coppe Italia. Da allenatore in seconda Campione d’Europa con le azzurrine Under 19; oggi a fianco di Corrado Corradini sempre nell’under in Figc nella quale collabora dal 2002. Il portiere per eccellenza del nostro movimento, l’ha visto nascere, crescere e, adesso, guarda con un pizzico di apprensione al futuro.

 

Facciamo un quadro, una fotografia, del movimento?

«Purtroppo i numeri dicono che siamo in discesa. Dal 1969 quando è nato il calcio femminile in Italia abbiamo vissuto una lenta ma costante crescita sfociata nel titolo europeo con la nazionale Under 19 nel 2008. Un evento storico, l’Italia non aveva vinto mai nulla, il fatto che avesse ottenuto un risultato di tale prestigio con una giovanile è stato significativo. Un segnale che la qualità, in Italia, c’è. Purtroppo non siamo stati in grado di sfruttare questa opportunità e, oggi, il numero delle calciatrici sta diminuendo. In generale i ragazzi fanno sempre meno sport e anche il nostro movimento ne risente».

 

All’estero sembra che le cose vadano diversamente…

«Esatto. Vedo diverse nazioni fare grandi passi avanti. Spagna e altri paesi latini stanno progredendo. Il Giappone è ai vertici mondiali quando solo negli anni ’80 esisteva addirittura il divieto, per le donne, di giocare a calcio. Esiste la nazionale palestinese, pensate che in Nigeria c’è il professionismo. Le abbiamo viste ai recenti mondiali, non corrono volano, segno di un grande lavoro alle spalle. Oggi in Europa domina la Germania. Quando ancora giocavo io l’Italia era avanti nel ranking e la battevamo, giocare contro paesi come Inghilterra, Cecoslovacchia, Svizzera voleva dire partire nettamente favorite. Oggi si perde».

 

Perché?

«Gli altri stanno lavorando di più e meglio, semplicemente. Le ragazze ci sono, a livello tecnico non abbiamo niente da invidiare a nessuno, il nostro calcio è il nostro calcio, vale per i ragazzi come per le ragazze. Purtroppo non abbiamo la possibilità di allenarci come si dovrebbe e disperdiamo il nostro potenziale. Anche gli allenatori, per quello che è possibile, sono preparati. Ma una squadra di serie A è pur sempre un club dilettantistico, ha poche risorse, pertanto è quasi impossibile che professionisti invogliati a mettere le loro capacità a disposizione. E poi siamo lo specchio dei nostri numeri. Abbiamo diecimila tesserate, difficile fare meglio, i numeri dettano le regole».

 

Che ci riserva il futuro quindi?

«Spero che si investa, si dia una svolta, si faccia qualcosa. Ho sentito che Fifa e Uefa supporteranno nostri progetti, bene. Auspico che ciò accada, che so l’introduzione del femminile nelle squadre di club maschili porterebbe un potenziale boom, con costi estremamente ridotti. Se ne gioverebbe tutto il movimento, per l’esposizione mediatica, per il marketing e quindi per le risorse a disposizione. Bisogna passare ai fatti però perché ci vorranno anni prima di ottenere risultati tangibili. Altrimenti, temo, continueremo a scivolare lentamente verso il basso, e sarebbe un vero peccato».

 

Parliamo del ruolo del portiere moderno?

«Ovviamente noi ragazze paghiamo un deficit prestativo sulla forza importante, quindi bisogna lavorare di più sulla tecnica e sulla tattica. Punterei molto su questo aspetto. Il ruolo è in evoluzione, per esempio il modo di affrontare l’uno contro uno, è il calcio che sta evolvendo. La crescita tattica del numero uno sta diventando un’esigenza, soprattutto per le ragazze. Il gioco è più veloce, i palloni sono imprevedibili e leggeri, lavorare più sui tempi dell’intervento che sulla chiusura degli spazi è una necessità. La tendenza è giocare più vicine alla porta per avere più tempo per lo spostamento».

 

IL TALENTO

Se nel calcio femminile odierno esiste un portiere che tecnicamente può fare invidia a tanti colleghi maschi, beh, ha un nome e un cognome. Chiara Marchitelli, 30 anni a maggio, estremo difensore del Brescia e della nazionale. Un palmares di tutto rispetto, tre volte campione d’Italia (Lazio, Fiammamonza, Brescia), due supercoppe italiane e 47 presenze in nazionale maggiore eppure, in realtà, in porta non ci voleva giocare. «C’è voluto un anno per convincermi – ci racconta – Ne avevo tredici, ho iniziato per necessità nella Lazio, l’allora mister Sergio Guenza m’ha visto fra i pali e ha iniziato un’opera estenuante di convincimento, alla fine ce l’ha fatta. Meno male, col senno di poi».

 

Avevi già un grande talento…

«Penso di sì, però se sono diventata quello che sono è perché ho lavorato sodo. Poi ho avuto la fortuna di avere un grande maestro, Lino Nosdeo, è stato lui che mi ha insegnato tutto. Ecco, se oggi riscontriamo, tra le ragazze, delle carenze non sono dovute a mancanza di talento. Giocatrici con qualità ce ne sono, purtroppo non hanno la fortuna di lavorare bene».

 

È per questo che si fa fatica a trovare ragazze brave fra i pali?

«Secondo me sì. Anche se negli ultimi anni, ci sono corsi appositi, i club, se possono, ingaggiano un preparatore e le cose vanno meglio. Poi noi giocatrici, oggettivamente, abbiamo esigenze di lavoro leggermente diverse rispetto ai ragazzi».

 

Cioè?

«Bisogna lavorare molto sulla tecnica e siamo carenti in esplosività, si sa. E poi, si potrebbe e dovrebbe ragionare sul nostro ruolo da un punto di vista tattico come dice giustamente Giorgia Brenzan. Un esempio? La posizione sulle conclusioni da fuori area. Un uomo calcia molto forte e per il portiere è corretto assumere una posizione più avanzata, copri di più la porta, ti basta uno spostamento per chiudere la traiettoria e un tocco per deviare la palla fuori dallo specchio. Le ragazze calciano con molta meno potenza. La deviazione può non essere sufficiente a sventare la minaccia, spesso la palla rimane lì, ancora viva. I tiri nel femminile sovente poi assumono traiettorie a parabola, se sei fuori dai pali non c’è niente da fare… Una posizione più a difesa della porta potrebbe essere preferibile, il tiro è più lento hai il tempo di fare uno “schiacciapiede” e tuffarti a prenderlo».

 

Qualche consiglio ai tecnici uomini che approcciano per la prima volta al femminile?

«Una difficoltà oggettiva è che non può entrare nello spogliatoio, ma con buonsenso e attenzione il rapporto col gruppo lo si crea. Certo noi donne siamo diverse, si sa. Tendiamo a portare i nostri problemi in campo, e a volte i mister non lo capiscono. D’altro canto noi ragazze diamo tutto, proprio tutto. Mettiamo dedizione completa nel lavoro e, anzi, siamo le prime a voler fare le cose e a lavorare sodo per migliorarci. In generale siamo anche molto preparate, sappiamo quello che stiamo facendo e se non lo sappiamo lo vogliamo capire fino in fondo. Ci vuole un giusto equilibrio. Il mister non deve essere né un despota né troppo amico. La qualità fondamentale? La coerenza, faccia le sue scelte, rispetto a quello che dice e che ha detto al gruppo. Non deve giustificarle o entrare nel privato ma parli… equilibrio insomma».

 

E ai preparatori dei portieri?

«Un consiglio che mi sento di dare è di lavorare tanto in allenamento sulle uscite e le palle alte in generale. Questo aspetto va curato, molto, facciamo fatica a leggere quel tipo di traiettorie. Da un punto di vista psicologico, invece, raccomando di proteggere il proprio portiere quando sbaglia, soprattutto davanti agli altri. Se perdiamo in sicurezza, e può succedere, perdiamo tutto. Poi al momento opportuno, in privato, è giusto rimarcare e lavorare sugli errori commessi».

 

Il tuo punto di riferimento del passato e la… Marchitelli del futuro?

«Riferimento senz’altro Giorgia Brenzan, una grande sul campo e fuori. Fra le giovani emergenti punto su Camelia Ceasar, 16 anni, gioca con me a Brescia è un vero e proprio talento, lo scorso anno ho perso metà campionato per un infortunio al ginocchio (legamento crociato, n.d.r.) e ha giocato lei, pur giovanissima, contribuendo in modo decisivo alla vittoria del campionato».

 

Chi vince lo scudetto? Brescia, Verona?

«Eh (ride)… spero proprio noi. Certo questa stagione è particolarmente appassionante perché c’è più equilibrio, il campionato è avvincente».

 

Concordi con l’idea di ridurre il numero delle squadre di serie A?

«Assolutamente sì. Meno squadre, più concentrazione di talenti e di qualità e quindi un calcio più equilibrato e avvincente. Questo al nostro movimento serve tantissimo, per essere più spendibile anche da un punto di vista mediatico».

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