Il portiere, ruolo troppo spesso trascurato tanto fondamentale nell’economia del pallone. Soprattutto sui campi polverosi dove l’ultimo baluardo riveste importanza ancora maggiore, essendo spesso chiamato a rimendiare alle giocate improvvide dei propri compagni di reparto. Se un giorno decidete di prendere degli scarpini con i tacchetti, preferibilmente in ferro, e scendere a tirar calcioni su un rettangolo quasi mai di verde colorato, dovreste quantomeno sapere in quali esemplari di numeri uno potreste imbattervi.
L’anziano
In porta, si sa, conta l’esperienza. E, il portiere anziano, l’esperienza se la mangia a colazione. Insieme a compresse di deltacortene, pastiglie di mobic e impacchi di voltaren, perchè l’unica cosa che supera gli anni del portiere anziano sono i suoi acciacchi. Eppure, da quella porta non lo smuoverebbe neanche Papa Francesco con minaccia di scomunica. Lui è lì, da tempo immemore, sotto quella traversa. Con la maglia degli anni ’80, il suo cappellino in testa e i suoi anta anni portati spesso male. La tecnica non manca mai, in gioventù ha anche giocato a buoni livelli.
In teoria saprebbe benissimo cosa fare, capisce con un secondo di anticipo quello che succederà sul campo. Il problema è che per andare giù ci mette più tempo di un treno della metro B a Roma all’ora di punta, e per uscire in presa alta deve allertare preventivamente l’osteopata, il cardiologo e il chiropratico. Ogni tanto però, preso dall’entusiasmo, dimentica i suoi acciacchi e con le sue parate decisive salva la partita. Non la sua schiena, che lo costringerà a due mesi di stop forzato. E nemmeno il matrimonio, viste le lamentele e gli acciacchi che deve subire la sventurata consorte che ha la sfortuna di condividere il talamo nuziale con costui. Ma che, tutto sommato, capisce che questo è l’occasione che alcuni di noi hanno di sentirsi vivi.
Il matto
A stare troppo tempo soli, a volte, si diventa un po’ sciroccati. E molti numeri uno lo dimostrano ogni santa domenica. Il matto veste strano, con completini disegnati a mano alla Campos o raccattati al mercatino del vintage nei più malfamati quartieri d’Italia. In porta, ci sta quasi per caso. Uscite fantasiose, a gamba alta, da delinquente consumato. Lunghe corse palla al piedi fino alla trequarti, ardimentosi dribbling contro l’attaccante in pressing, preghiere ai compagni per battere quella punizione dal limite.
In genere, il matto è spesso una tassa da pagare per i compagni, che debbono sopportare le scapocciate di questo individuo che però a volte è anche l’unico sciagurato disposto a restare tra i pali. Se per caso compie un intervento decisivo, apriti cielo. Festeggia appendendosi alla traversa e rischiando di scavezzarsi il collo, compie improvvidi giri di campo con la palla in movimento, scavalca recinzioni per correre dagli attoniti parenti in tribuna. Più spesso accade che sia invece una sua vaccata a decidere le sorti dell’incontro in senso opposto. Ma fa niente, il matto domenica prossima sarà di nuovo lì a riprovarci, senza paura di nulla.
L’obeso
Non inganni la forma fisica: tra i pali è un fenomeno vero. Formato da anni di ingiustizie della vita, questo omino in sovrappeso si trasforma in un gatto dalle sette vite. Senza paura vola a disinnescare mine precise dirette all’incrocio dei pali, esce in mischia mietendo vittime come se il domani fosse un’ipotesi del tutto trascurabile. Tra i pali impara presto a viverci, dagli anni in strada in cui gli amici più dotati tecnicamente decidono di piazzare i suoi tenerissimi strati di lardo addominale a difesa dei due zaini che segnalano la porta. E palloni ne passano davvero pochi. Per coglierlo impreparato, basta però fargli sognare teglie di pasta al forno e infornate di polpettoni della nonna. La distrazione è dietro l’attimo e il nostro portierone, immaginando di addentare un caldo cannellone, lascerà entrare in porta tutto quello che vi pare.
Il pararigori
Dal dischetto, con lui, non ce n’è. Serio, concentrato, sembra un lupo che guarda negli occhi la sua preda. Vi fissa negli occhi e vi fa capire che non importa dove lo tirerete quel pallone, lui andrà a prenderlo. Alle volte riesce, con la sola imposizione dello sguardo, a convincere l’attaccante avversario che la traversa è sette metri più su, facendo calciare miriadi di rigori nell’iperspazio. Dal dischetto, con lui, non si segna. Invece, purtroppo per la sua squadra, quando il pallone è in movimento, può accadere di tutto.
Innocui palloni dalla trequarti possono diventare traiettorie beffarde che si infilano negli anfratti più remoti della porta. Uscire dai pali è escluso, un po’ come accadeva ai bei tempi di Manninger. La riga di porta è il posto più sicuro del mondo, chi me la fa fare a muovermi da qui? Per questo ed altri motivi, spesso i compagni preferiscono fermare il pallone con le mani in area o abbattere l’attaccante pur di evitare che tiri in movimento verso la porta del pararigori. A volte, forse, meglio concedere un tiro dagli 11 metri e sperare che il nostro numero uno faccia ancora la sua magia.
Il colabrodo
Il calcio minore, molte volte è crudele. Pur di calcare quel fangoso campo per destinazione, siamo disposti a scendere a compromessi che nella nostra vita non permetteremmo mai. Tipo, talvolta, accettare che l’unico disagiato disposto a difendere la nostra porta sia la nostra unica possibilità. Il colabrodo è infatti l’unico disposto a sporcarsi le mani, e non solo metaforicamente, mentre noi decidiamo tutti di dedicarci ai ruoli di movimento. E costui, dunque, si investe automaticamente del titolo di ultimo baluardo difensivo, titolo che però poco ha a che fare con le sue capacità. Il colabrodo infatti, fa più danni della peste, con in più l’aggravante che egli si sente investito di poteri divini che evidentemente non possiede.
Ogni tiro verso la sua porta è un gol quasi matematico. L’ultima volta che ha bloccato un pallone in presa sicura, un Papa ci ha lasciato le penne. Quella volta che ha indovinato il lato sul rigore, è stata festa per settimane in paese. I difensori preferirebbero lasciare le proprie fidanzate, mogli e figlie con il Mostro di Firenze piuttosto che l’attaccante a tu per tu con il loro becerissimo numero uno. Per cui si dannano l’anima per farlo impegnare il meno possibile. Molto raramente azzecca la partita, riuscendo a chinare la schiena per raccogliere il pallone solo un paio di volte invece delle canoniche 5.
Il bestemmiatore folle
Eccoci qui. Il portiere più amato dai delinquenti. Quello che, ad ogni barriera sistemata, fa partire una sequela di Santi che farebbe impallidire il più scatenato Germano Mosconi. Quello che, ad ogni decisione avversa del giudice di gara, scatena un attacco al Vaticano che farebbe sembrare quelli dell’ISIS delle checche senza midollo. Quello che, dopo ogni parata, minaccia di morte i compagni della difesa per averlo lasciato solo al proprio destino. Quello che, quando l’attaccante avversario va giù in a
Il portiere di provincia
Il portiere, ruolo troppo spesso trascurato tanto fondamentale nell’economia del pallone. Soprattutto sui campi polverosi dove l’ultimo baluardo riveste importanza ancora maggiore, essendo spesso chiamato a rimendiare alle giocate improvvide dei propri compagni di reparto. Se un giorno decidete di prendere degli scarpini con i tacchetti, preferibilmente in ferro, e scendere a tirar calcioni su un rettangolo quasi mai di verde colorato, dovreste quantomeno sapere in quali esemplari di numeri uno potreste imbattervi.
L’anziano
In porta, si sa, conta l’esperienza. E, il portiere anziano, l’esperienza se la mangia a colazione. Insieme a compresse di deltacortene, pastiglie di mobic e impacchi di voltaren, perchè l’unica cosa che supera gli anni del portiere anziano sono i suoi acciacchi. Eppure, da quella porta non lo smuoverebbe neanche Papa Francesco con minaccia di scomunica. Lui è lì, da tempo immemore, sotto quella traversa. Con la maglia degli anni ’80, il suo cappellino in testa e i suoi anta anni portati spesso male. La tecnica non manca mai, in gioventù ha anche giocato a buoni livelli.
In teoria saprebbe benissimo cosa fare, capisce con un secondo di anticipo quello che succederà sul campo. Il problema è che per andare giù ci mette più tempo di un treno della metro B a Roma all’ora di punta, e per uscire in presa alta deve allertare preventivamente l’osteopata, il cardiologo e il chiropratico. Ogni tanto però, preso dall’entusiasmo, dimentica i suoi acciacchi e con le sue parate decisive salva la partita. Non la sua schiena, che lo costringerà a due mesi di stop forzato. E nemmeno il matrimonio, viste le lamentele e gli acciacchi che deve subire la sventurata consorte che ha la sfortuna di condividere il talamo nuziale con costui. Ma che, tutto sommato, capisce che questo è l’occasione che alcuni di noi hanno di sentirsi vivi.
Il matto
A stare troppo tempo soli, a volte, si diventa un po’ sciroccati. E molti numeri uno lo dimostrano ogni santa domenica. Il matto veste strano, con completini disegnati a mano alla Campos o raccattati al mercatino del vintage nei più malfamati quartieri d’Italia. In porta, ci sta quasi per caso. Uscite fantasiose, a gamba alta, da delinquente consumato. Lunghe corse palla al piedi fino alla trequarti, ardimentosi dribbling contro l’attaccante in pressing, preghiere ai compagni per battere quella punizione dal limite.
In genere, il matto è spesso una tassa da pagare per i compagni, che debbono sopportare le scapocciate di questo individuo che però a volte è anche l’unico sciagurato disposto a restare tra i pali. Se per caso compie un intervento decisivo, apriti cielo. Festeggia appendendosi alla traversa e rischiando di scavezzarsi il collo, compie improvvidi giri di campo con la palla in movimento, scavalca recinzioni per correre dagli attoniti parenti in tribuna. Più spesso accade che sia invece una sua vaccata a decidere le sorti dell’incontro in senso opposto. Ma fa niente, il matto domenica prossima sarà di nuovo lì a riprovarci, senza paura di nulla.
L’obeso
Non inganni la forma fisica: tra i pali è un fenomeno vero. Formato da anni di ingiustizie della vita, questo omino in sovrappeso si trasforma in un gatto dalle sette vite. Senza paura vola a disinnescare mine precise dirette all’incrocio dei pali, esce in mischia mietendo vittime come se il domani fosse un’ipotesi del tutto trascurabile. Tra i pali impara presto a viverci, dagli anni in strada in cui gli amici più dotati tecnicamente decidono di piazzare i suoi tenerissimi strati di lardo addominale a difesa dei due zaini che segnalano la porta. E palloni ne passano davvero pochi. Per coglierlo impreparato, basta però fargli sognare teglie di pasta al forno e infornate di polpettoni della nonna. La distrazione è dietro l’attimo e il nostro portierone, immaginando di addentare un caldo cannellone, lascerà entrare in porta tutto quello che vi pare.
Il pararigori
Dal dischetto, con lui, non ce n’è. Serio, concentrato, sembra un lupo che guarda negli occhi la sua preda. Vi fissa negli occhi e vi fa capire che non importa dove lo tirerete quel pallone, lui andrà a prenderlo. Alle volte riesce, con la sola imposizione dello sguardo, a convincere l’attaccante avversario che la traversa è sette metri più su, facendo calciare miriadi di rigori nell’iperspazio. Dal dischetto, con lui, non si segna. Invece, purtroppo per la sua squadra, quando il pallone è in movimento, può accadere di tutto.
Innocui palloni dalla trequarti possono diventare traiettorie beffarde che si infilano negli anfratti più remoti della porta. Uscire dai pali è escluso, un po’ come accadeva ai bei tempi di Manninger. La riga di porta è il posto più sicuro del mondo, chi me la fa fare a muovermi da qui? Per questo ed altri motivi, spesso i compagni preferiscono fermare il pallone con le mani in area o abbattere l’attaccante pur di evitare che tiri in movimento verso la porta del pararigori. A volte, forse, meglio concedere un tiro dagli 11 metri e sperare che il nostro numero uno faccia ancora la sua magia.
Il colabrodo
Il calcio minore, molte volte è crudele. Pur di calcare quel fangoso campo per destinazione, siamo disposti a scendere a compromessi che nella nostra vita non permetteremmo mai. Tipo, talvolta, accettare che l’unico disagiato disposto a difendere la nostra porta sia la nostra unica possibilità. Il colabrodo è infatti l’unico disposto a sporcarsi le mani, e non solo metaforicamente, mentre noi decidiamo tutti di dedicarci ai ruoli di movimento. E costui, dunque, si investe automaticamente del titolo di ultimo baluardo difensivo, titolo che però poco ha a che fare con le sue capacità. Il colabrodo infatti, fa più danni della peste, con in più l’aggravante che egli si sente investito di poteri divini che evidentemente non possiede.
Ogni tiro verso la sua porta è un gol quasi matematico. L’ultima volta che ha bloccato un pallone in presa sicura, un Papa ci ha lasciato le penne. Quella volta che ha indovinato il lato sul rigore, è stata festa per settimane in paese. I difensori preferirebbero lasciare le proprie fidanzate, mogli e figlie con il Mostro di Firenze piuttosto che l’attaccante a tu per tu con il loro becerissimo numero uno. Per cui si dannano l’anima per farlo impegnare il meno possibile. Molto raramente azzecca la partita, riuscendo a chinare la schiena per raccogliere il pallone solo un paio di volte invece delle canoniche 5.
Il bestemmiatore folle
Eccoci qui. Il portiere più amato dai delinquenti. Quello che, ad ogni barriera sistemata, fa partire una sequela di Santi che farebbe impallidire il più scatenato Germano Mosconi. Quello che, ad ogni decisione avversa del giudice di gara, scatena un attacco al Vaticano che farebbe sembrare quelli dell’ISIS delle checche senza midollo. Quello che, dopo ogni parata, minaccia di morte i compagni della difesa per averlo lasciato solo al proprio destino. Quello che, quando l’attaccante avversario va giù in area con troppa leggerezza, corre come un indemoniato per rialzarlo, prendendolo per il bavero e facendogli una sonora lavata di capo a base di improperi. Quello che, nel tunnel degli spogliatoi prende questioni con il dirigente accompagnatore avversario, reo di aver soffermato troppo a lungo il suo sguardo sul nostro eroe. Quello che, se perde la testa, diventa un pericolo pubblico in pieno stile Soviero o Seba Rossi, mettendo a rischio l’incolumità di tutti i presenti. Quello che, sotto sotto, scalda ogni volta il nostro cuore.
Valerio Nicastro
rea con troppa leggerezza, corre come un indemoniato per rialzarlo, prendendolo per il bavero e facendogli una sonora lavata di capo a base di improperi. Quello che, nel tunnel degli spogliatoi prende questioni con il dirigente accompagnatore avversario, reo di aver soffermato troppo a lungo il suo sguardo sul nostro eroe. Quello che, se perde la testa, diventa un pericolo pubblico in pieno stile Soviero o Seba Rossi, mettendo a rischio l’incolumità di tutti i presenti. Quello che, sotto sotto, scalda ogni volta il nostro cuore.
Valerio Nicastro